Paolo Molinari, S.I.

ORSOLA LEDOCHOWSKA E LA SUA OPERA

Segno di vitalità perenne della vita religiosa apostolica

 

Estratto da “LA CIVILTÀ CATTOLICA”

del 2 luglio 1983, Quaderno 3193

Alcuni cenni alle origini della sua famiglia e il ricordo di due nomi di persone consanguinee di Orsola Ledóchowska sono sufficienti per inquadrare la nuova Beata[1].

In base a ciò che si è tramandato in seno alla famiglia stessa, sappiamo che essa si ricollega agli Halka, a quel gruppo cioè di cavalieri che verso la fine del primo millennio vivevano nella regione orientale della Polonia, al servizio del granduca Vlodimiro di Kiev, e che già allora si erano convertiti al cristianesimo. Uno dei loro condottieri, Nestor Halka, nel secolo XV ricevette dal re di Polonia, Casimiro Jagellone, il fondo di Ledóchów in Wolhynia, dando origine al nuovo nome della famiglia, che da allora si chiamò Halka-Ledóchowski[2].

Questa nobile famiglia aveva già dato alla Chiesa e alla Polonia uomini insigni, tra i quali spicca uno zio della nuova Beata, il card. Miecislao, arcivescovo di Gniezno e Poznan (1822-1902)[3]. Per difendere la libertà della Chiesa, egli si era intrepidamente opposto a Bismarck nel periodo del Kulturkampf; imprigionato, mentre era in carcere ricevette la notizia che il Sommo Pontefice lo aveva elevato alla dignità cardinalizia. Più tardi egli fu chiamato a Roma e nominato prefetto della S.C. di Propaganda Fide.

I nomi dei due membri di questa famiglia cui abbiamo fatto cenno sono quelli di  Maria Teresa e Vlodimiro, rispettivamente la sorella che precedette immediatamente Orsola e il fratello che essa seguì nella serie dei nove figli che il conte Antonio ebbe dal suo matrimonio con la contessa svizzera Giuseppina Salis-Zizers[4]. Maria Teresa (1863-1922), la primogenita, fondò il Sodalizio di San Pietro Claver, e fu beatificata da Paolo VI, il 19 ottobre 1975 [5]; Vlodimiro (1866-1942) è stato preposito generale della Compagnia di Gesù dal 1915 al 1942[6].

Orsola - al secolo Giulia Maria - si trova dunque per età proprio fra queste due eminenti personalità che - com'è noto - hanno svolto un'attività rimarchevole nella Chiesa del nostro secolo, in modo speciale nell'ambito dell'opera missionaria ed evangelizzatrice. E questo è vero anche della nuova Beata, nata il 17 aprile 1865 a Loosdorf, nella diocesi di St. Pölten in Austria.

Dal punto di vista della psicologia, sarebbe interessante poter conoscere con precisione dati e fatti in grado d'illuminare i rapporti esistenti fra questi tre fratelli negli anni dell’infanzia, adolescenza e gioventù. Esiste un diario della loro mamma, un diario che ella teneva molto accuratamente ma che, pur dando qualche informazione, non offre elementi sufficienti per ricostruire un quadro da cui emerga con chiarezza il genere di relazioni che legavano i tre e quale fu l’influsso reciproco nello sviluppo delle loro personalità. L’intesa profonda che noi vedremo esistere negli anni della loro maturità, il sostegno che essi più tardi si daranno - e ciò proprio nei riguardi della loro risposta a Dio - gettano un fascio di luce sugli anni giovanili, vissuti in una famiglia e in un ambiente impregnati di uno spirito di autentica fede. I genitori, ottimi cristiani, seppero dare ai numerosi figli una vera educazione cattolica e istillare loro un profondo amore verso Dio e la Chiesa.

Anche se - come abbiamo detto - il diario della contessa Ledóchowska non offre quanto forse noi avremmo sperato trovare, mette però in luce un tratto della personalità di Giulia: più di tutti ella sembra dotata di una grande amabilità. Per questo risulta essere colei che era amata da tutti, familiari e conoscenti. La sua bontà la induceva a occuparsi degli altri con una premura e con un’amorevolezza che ovviamente colpivano chi la osservava; era lei che si curava dei fratelli più piccoli, seguendoli amorevolmente anche nei loro doveri scolastici. Dal diario della madre - come d'altronde più tardi anche da numerose dichiarazioni che verranno rilasciate dai fratelli e da altri familiari e conoscenti - una cosa emerge con chiarezza: Giulia era la prediletta del padre che, cagionevole di salute, soffriva di depressioni malinconiche, ma trovava in questa figlia chi riusciva a sollevarlo. Anche di Maria Teresa essa si occupava con una cura particolare, a motivo delle forti emicranie di cui questa sorella soffriva.

Quando si studiano le vite di Maria Teresa, Giulia e Vlodimiro Ledóchowski, non si può non rimanere colpiti dal fatto che, pur distinguendosi notevolmente l’uno dall'altra, hanno molti tratti in comune. Tutti e tre sono indubbiamente dotati di intelligenza acuta e profonda, però tutti e tre sono inclini non tanto verso la speculazione quanto piuttosto verso l’azione, dimostrando di avere capacità organizzative non comuni. Di carattere volitivo, subordinano tutto a quell'ideale che ispira la loro vita e la loro attività. Avendo capito, ciascuno a suo modo, di essere chiamati al servizio di Dio, ne seguono l'invito con una logicità ferrea e con una generosità che desta meraviglia.

Personalità di questo genere possono ottenere grandi risultati, ma possono anche facilmente diventare autoritarie, rigide e severe. Nel caso dei tre fratelli di cui ci stiamo occupando, dobbiamo dire che anche se le loro tendenze naturali avrebbero potuto portarli a questi difetti, ne furono salvati da una bontà innata, da un'educazione familiare improntata ad affetto, e soprattutto da quella profonda pietà e umiltà soprannaturali che sono il frutto della grazia e di un paziente e costante lavorio spirituale.

La preparazione

Dopo aver ricevuto in casa, secondo l'uso delle famiglie nobili dell'epoca, l'istruzione elementare, Giulia frequentò, fra il 1875 e il 1880, il Collegio tenuto dalle Religiose della Beata Maria Vergine (Dame Inglesi) a St. Pölten. Ivi si distinse per intelligenza, applicazione e comportamento, in modo tale che il suo nome venne scritto nel "Libro d'oro" della scuola. Ma ciò che è più significativo, in quanto rivelatore del suo carattere e delle sue disposizioni d'animo, e che essa era sì la prima della classe, ma — ben diversamente da ciò che spesso accade in tali casi — era talmente simpatica alle sue compagne da essere la più ricercata e amata fra loro. Dopo questi studi, si perfezionò nelle materie preferite: lingue, letteratura e storia. Al tempo stesso, coltivò le sue spiccate tendenze artistiche per la musica e la pittura: suonava bene il pianoforte e la cetra e dipingeva con finezza, nella pittura si perfezionò ulteriormente anche più tardi, da religiosa.

Nel 1883 la famiglia intera si trasferì a Lipnica Murowana, presso Cracovia, dove il padre aveva acquistato una tenuta. L'ambiente e la situazione diversi fecero sì che per Giulia cominciasse una vita sotto certi aspetti completamente nuova. Do-vette infatti non solo assumersi l'impegno dell'educazione dei fratelli minori, in un paese diverso da quello in cui erano nati e cresciuti, ma anche occuparsi di molte questioni amministrative a fianco del padre. I suoi numerosi contatti con la gente del luogo le permisero di scoprire chi era in ristrettezze o difficoltà, e ciò le diede l'opportunità di prodigarsi per i più bisognosi. Il suo modo d'interessarsi degli altri doveva avere qualche cosa di particolare; sorprende infatti constatare che, nonostante la giovane età, divenne ben presto la consigliera fidata di molti. Una dichiarazione del fratello Vlodimiro, d'altronde ben noto per la sobrietà delle parole, è molto eloquente in proposito:

"Aveva il cuore indicibilmente tenero e sensibile per tutte le miserie e sofferenze umane. Dopo il trasferimento dei nostri genitori a Lipnica si prodigò specialmente ai malati e ai poveri della popolazione: andava a trovarli per le case, distribuiva medicinali, faceva tanti servizi, consolava e sollevava. In poco tempo guadagnò tanta fiducia e rispetto non solo presso la popolazione più vicina, ma anche dai più distanti, che venivano dai dintorni, lontani qualche volta 20 e più chilometri, per ricevere da lei medicine per i malati o anche per sentire il suo parere riguardo alle loro difficoltà e sollecitudini, infine per risolvere le loro discordie e controversie sorte fra i vicini e calmarli. Il suo giudizio veniva accolto senza restrizione dalla gente che era incline a perdersi in lunghe cause durante anni e anni"[7].

Nel 1885 la regione fu colpita da un'epidemia di vaiolo; il padre e la sorella Maria Teresa ne furono contagiati. Giulia si prese amorosamente cura di loro. Tuttavia il conte Antonio non superò la grave malattia: sul letto di morte volle essere assistito spiritualmente dalla sua figlia prediletta. In tale occasione questa gli chiese il permesso di farsi religiosa, ciò che le venne concesso di cuore. Però Giulia non poté dare subito seguito alla vocazione che già da anni sentiva, perché la madre aveva ancora bisogno di lei, specialmente per il fatto che il fratello Vlodimiro era entrato nel seminario di Tarnów, mentre Maria Teresa aveva accettato l'incarico di dama di corte della granduchessa Alice di Toscana. Il fratello cercò di aiutarla facendo del suo meglio per convincere la madre a lasciar partire la sorella per il convento; ma, mentre questo avveniva, si levò una forte opposizione da parte del decano foraneo, che non voleva perdere la benefica influenza che Giulia esercitava sulla popolazione di tutta la regione[8].

Religiosa di sant’Orsola

Superate anche queste difficoltà, Giulia Ledóchowska poté finalmente partire per il convento di sant'Orsola, a Cracovia; era il 18 agosto 1886. Pochi mesi dopo, il 17 aprile 1887, iniziò il noviziato, ricevendo il nome di Maria Orsola. Emessa la professione religiosa solenne il 28 aprile 1889, fu destinata all’insegnamento nella scuola e nel pensionato annessi al convento. Nello svolgere quest'attività ella non si limitava a impartire lezioni - d'altronde molto apprezzate dalle alunne, tant’è vero che, a quanto esse stesse ci fanno sapere, riusciva a destare interesse anche per la matematica e la grammatica francese, - ma si faceva premura di seguire le ragazze singolarmente, e lo faceva con tanto amore e vivo interessamento per ciascuna che esse ben presto le aprivano il cuore. La giovane educatrice non aveva bisogno di ricorrere a punizioni: la pena più grave per le sue alunne era il pensiero di averle potuto causare dolore o di essere state motivo di disappunto per lei.

Nella sua azione educativa la madre Orsola aveva due preferenze: favorire colloqui e discussioni su argomenti attinenti alla religione e alla fede, e mettere le ragazze a contatto diretto con i poveri, allo scopo d'istillare in loro il senso della responsabilità e stimolarle a una generosità che avrebbe dovuto indurle a privarsi di qualche cosa a favore dei meno abbienti. Una nota caratteristica della sua azione consiste ancora nel fatto che ella, pur senza fare la minima pressione, seppe condurre le giovani a una fervente pietà mariana e a un sincero anelito per la comunione frequente.

Questa fertile attività ebbe un periodo d'interruzione dovuto al fatto che, durante l'anno scolastico 1896-97, Orsola Ledóchowska partì per la Francia per perfezionare ulteriormente le sue conoscenze. A Orléans ottenne in un solo anno i diplomi di lingua francese per i quali erano previsti due anni di studi.

Dopo essere ritornata in Polonia e aver ripreso la sua missione di educatrice, il 2 luglio 1904 fu eletta superiora del convento di Cracovia. Era allora soltanto trentanovenne e ciò costituisce un segno della grande fiducia che riscuoteva presso le consorelle. Volendo seguire le direttive che Pio X aveva dato alle Orsoline perché provvedessero a un aggiornamento della loro attività apostolica, Orsola Ledóchowska parti per Roma; sentiva il bisogno di chiarire alcune questioni riguardanti le costituzioni e anche di riconsiderare se la clausura papale non fosse un impedimento all'attuazione di ciò che il Santo Padre attendeva da loro nel settore educativo. Fu allora che essa ottenne che la clausura fosse mutata in diocesana.

La premurosa sollecitudine per la gioventù la portò a concepire l'idea di fondare un pensionato per le studentesse universitarie di Cracovia; il suo primo progetto, che risale al 1905, non trovò l'approvazione del Puzyna, e quindi non fu portato a esecuzione. Tuttavia, quando l'anno seguente la popolazione della città di Cracovia rimase sconvolta dalla notizia del suicidio d'una studentessa, lo stesso Cardinale si rivolse a madre Orsola per chiederle di realizzare il progetto. Fu così fondato il primo pensionato cattolico per studentesse universitarie in Polonia.

In Russia

Non possiamo però ignorare che gli avvenimenti che più profondamente ebbero un influsso sulla vita di madre Orsola furono quelli che la condussero gradualmente a sentire il bisogno d’avviare un'opera missionaria in Russia. Ella aveva incominciato a rendersi conto di certe problematiche relative a questo grande Paese quando, tra le sue allieve, era venuta in contatto con non poche ragazze provenienti dai territori polacchi occupati dai russi. Inoltre, nel corso dei colloqui con Pio X aveva constatato il vivo interessamento di questo Pontefice per i cattolici residenti in Russia e, in specie, a Pietroburgo. Tutto ciò l'aveva preparata ad accogliere con interesse una domanda che il prelato Costantino Budkiewicz[9], parroco di Santa Caterina in detta città, le rivolse perché le Orsoline di Cracovia assumessero la direzione dell'internato per ragazze che era annesso alla sua chiesa.

Il momento per tale iniziativa sembrava particolarmente favorevole. Infatti, dopo la guerra russo-giapponese, si erano verificati nell'impero dello Zar i moti rivoluzionari degli anni 1905-1906 che avevano portato una certa liberalizzazione. Di conseguenza, era stato possibile far eliminare le misure anticattoliche, in forza delle quali le due scuole di Santa Caterina si erano costantemente trovate in condizioni d'inferiorità nei confronti degli altri istituti educativi. Pio X stesso, debitamente informato degli sviluppi delle cose, non esitò a incoraggiare madre Orsola a partire per Pietroburgo, assicurandole ogni forma d'aiuto. Tanto grande era il suo amore per la gente che aveva bisogno d'aiuto nella fede, tanto chiara la sua visione di ciò che l’essere in missione richiede, che (non essendo, possibile in quell'epoca avere in Pietroburgo comunità religiose, né concepibile che la madre Orsola si recasse colà con l'abito religioso), il Papa le disse che "potevano anche indossare indumenti rosa, purché lavorassero nella Russia"[10].

Orsola Ledóchowska partì dunque per Pietroburgo, per dare avvio a questa missione che fin dagli inizi si profilava estremamente delicata e difficile. Si doveva, infatti, fare i conti con gli atteggiamenti anticattolici e antipolacchi del Governo. Questi erano cosi profondi che parecchi cattolici polacchi residenti a Pietroburgo considerarono imprudente l'arrivo di madre Orsola e delle sue compagne. Non meno gravi erano i problemi in seno allo stesso Istituto di Santa Caterina. La maggior parte delle insegnanti e delle educatrici, temendo che la Ledóchowska venisse per introdurre una disciplina religiosa, aizzarono le allieve contro di lei. Le ragazze si aspettavano - perché così era stato loro detto - che la nuova direttrice si sarebbe presentata "con il rosario in una mano e con la verga nell'altra". Ostentatamente, dunque, le voltarono le spalle quando essa si presentò per la prima volta. Nonostante questa ostilità, Orsola riuscì in breve tempo a capovolgere la situazione; agì con fermezza, ma il suo amore e la sua bontà, come pure la sua preoccupazione di aiutare le alunne nel migliore dei modi e con un interessamento veramente personale, gradualmente toccarono i cuori. Il fattore decisivo in tale mutamento è da ascrivere, però, al fatto che le allieve per la prima volta sentirono parlare di Dio in termini di amore, e si resero conto che tutta la vita della loro direttrice era la dimostrazione vivente di ciò ch'essa diceva.

Le deposizioni che varie alunne di quel tempo fecero nel corso dei processi per la causa di beatificazione rivelano che il cattolicesimo che si viveva nel ginnasio era impregnato di giansenismo. La pietà era rigida e fredda, e Dio veniva presentato come giudice severo che scruta e osserva a ogni istante per punire severamente ogni mancanza. La Ledóchowska, invece, presentava Dio come un padre che ama e attende una risposta di amore. Agendo in questo modo, fece germogliare a poco a poco nel cuore delle ragazze un vero amore verso Dio Padre, verso Gesù Cristo nostro fratello e verso Maria, sua e nostra madre. Ideali spirituali iniziarono a entusiasmare queste giovani, tant'è vero che ben presto l'associazione delle "Figlie di Maria", che la Ledóchowska aveva introdotto, divenne fiorente. Questi cambiamenti, ottenuti in così breve tempo in un istituto in crisi, non mancarono d'impressionare i cattolici polacchi di Pietroburgo che, attratti dalla ricca personalità di colei che aveva portato questo afflato di vita e di serenità, cominciarono ad affluire alle sue conferenze culturali e spirituali.

Non contenta di ciò, Orsola lanciò pure l'idea di aprire una cappella per i russi e di far sì che le prediche fossero tenute nella loro lingua. L'arcivescovo Wnukowski, purtroppo, si oppose categoricamente a tale proposta. Da notare che, per poter meglio svolgere la sua attività, Orsola s'era premurata di ottenere il diploma d'insegnante di lingua russa, lingua che parlava correntemente, Resasi poi conto che il clima di Pietroburgo era malsano, specialmente nei mesi estivi, e mossa pure dall'intento d'avere un punto di espansione fuori città, acquistò un terreno presso Sortavala, sul Golfo di Finlandia, e vi fece costruire un  complesso di edifici ispirato al modello dei più moderni collegi inglesi. Aprì questa filiale nel 1910 e, da allora, si recò sul posto ogni settimana per dirigerne personalmente l'andamento. Si trattava di percorrere, su un carro o su una slitta, circa 35 km: questa la distanza dalla stazione ferroviaria di Ussikirko alla nuova casa, denominata Merentähti (Stella maris).

Per rendersi debitamente conto della generosità e dell’ardore apostolico della Ledóchowska, che la induceva a non badare a fatiche e sacrifici, si deve aver presente che questi viaggi settimanali comportavano non pochi .disagi e imprevisti. Basti ricordare che il giovanissimo e inesperto cocchiere, che spesso la conduceva, più d'una volta finì col far capovolgere la carrozza sulla strada. Fu in una di queste occasioni che la compagna di viaggio della Madre, tutta adirata per ciò che era accaduto, si era rivolta a lei per chiederle come si diceva "asino" in finlandese e cosi poter dare quest'epiteto al ragazzo. L'indignazione della religiosa sbollì presto quando la sua superiora, con un sorriso, le fece capire che non gliel'avrebbe detto. Sappiamo che un'altra volta, di notte, la slitta uscì dal tracciato e si spinse sul mare ghiacciato che però era allora in fase di disgelo; il pericolo era grande. Anche in questa occasione la Ledóchowska non perse il sangue freddo: rosario alla mano, essa seppe condurre lentamente la piccola comitiva, incluso il cavallo, fino alla riva; ma ciò richiese un'ora di cammino fatto con la massima prudenza.

Come era sua abitudine, anche qui la Ledóchowska si prese cura della gente del luogo, in maggior parte poveri pescatori. Aiutata dalla straordinaria abilità linguistica di cui era dotata, Orsola imparò la difficile lingua finlandese e si fece premura di tradurre il catechismo come pure vari canti religiosi. Era felice quando udiva questa gente semplice cantare ad alta voce le lodi della Madre di Dio. Resasi conto di un'altra necessità di primaria importanza, provvide pure ad allestire un piccolo dispensario; nella regione mancava ogni forma di assistenza ai malati e c'era anche l'urgenza di soccorrere i bisogni dei poveri. Mentre queste varie forme di attività prendevano piede e si sviluppavano, le nubi cominciavano ad addensarsi. Le autorità russe, dopo un certo periodo di liberalizzazione, avevano iniziato a stringere i freni. Madre Orsola venne così sottoposta a numerosi interrogatori; varie perquisizioni vennero fatte a Santa Caterina e poi venne scatenata una violenta campagna di stampa.

Poiché le comunicazioni con il convento di Cracovia erano progressivamente divenute sempre più difficili a motivo della censura da parte delle autorità russe, la madre Ledóchowska aveva provveduto a ottenere, già nel 1908, che la casa di Pietroburgo fosse autonoma, con il diritto d’avere un suo noviziato. Le cose si erano dunque sviluppate e, di conseguenza, il fatto ch'essa era una religiosa non poté più rimanere ignorato. Nel 1910, nel corso d'un colloquio da lei avuto con un ministro, fu direttamente interrogata a tale proposito. Orsola Ledóchowska, avversa a ogni menzogna e restrizione mentale, rispose che effettivamente era religiosa, ma che avrebbe chiesto al Santo Padre una dichiarazione scritta di poter essere sciolta dai suoi voti. Si premurò però di assicurarsi che, come conseguenza di tale passo, l'ostacolo contro la sua permanenza a Pietroburgo sarebbe stato tolto, anche se nel suo cuore ella sarebbe rimasta ciò che era. Nella storia della Congregazione scrisse poi di aver ritenuto doveroso che il ministro fosse al corrente di questo fatto, poiché non era disposta a rinnegare il suo passato[11].

Effettivamente, tramite i buoni uffici della sorella Maria Teresa, Orsola chiese a Pio X e ottenne il proscioglimento dai voti, unitamente a una dichiarazione ufficiale in cui si diceva ch'essa non era né poteva essere detta "religiosa". Pur tuttavia, nonostante gli sforzi da lei compiuti e che l'avevano indotta a fare dei passi arditi come quello or ora accennato, e nonostante che Pio X approvasse e sostenesse, Orsola capì che la sua permanenza a Pietroburgo avrebbe potuto compromettere tutta l'opera dell'internato di Santa Caterina. Risolse quindi di nominare una consorella come direttrice e di ritirarsi a Merentähti; di là avrebbe continuato a seguire l'istituto. Anche questa soluzione non poté durare a lungo: nel 1914, con lo scoppio della prima guerra mondiale, essa venne espulsa definitivamente dai territori russi, e con ciò anche dalla Finlandia.

Nei Paesi scandinavi

Si ritirò allora a Stoccolma, lontana dalle sue suore. In preda a gravi preoccupazioni per la loro sorte, la Ledóchowska trascorse qui uno dei più duri periodi della sua vita. È significativo però che nelle sue lettere ricorre costantemente il motto:

“Come Dio vuole, fiat”. Per poter provvedere al proprio sostentamento, cominciò a dare lezioni di francese e, al tempo stesso, si accinse a studiare la lingua svedese con tanta lena che già nel 1915 era in grado di fondare a Djursholm, presso Stoccolma, un istituto di lingue moderne per aiutare le giovani svedesi che non potevano recarsi all'estero a causa della guerra.

Fu in quel periodo che Orsola venne avvicinata dal famoso scrittore polacco Enrico Sienkiewicz (autore di Quo vadis?), il quale aveva fondato a Vevey (Svizzera) un comitato per soccorrere le popolazioni polacche duramente provate dagli eventi bellici. Nell'intento di collaborare attivamente a quest'iniziativa di carità cosi urgente, una volta ottenuto il permesso da Benedetto XV, la madre Ledóchowska cominciò a percorrere i Paesi scandinavi per tenere conferenze sulla situazione della Polonia e raccogliere fondi per i sinistrati. Inizialmente essa tenne queste conferenze in inglese, francese e tedesco; ma poi, volendo raggiungere un uditorio più vasto e in un modo più diretto e convincente, dopo essersi dedicata allo studio assiduo del danese e del norvegese, riuscì a parlare anche queste lingue.

Dedita com'era alla causa di Dio nei poveri, e vivendo ogni sua attività animata da quell'amore che spinge al sacrificio di sé, viaggiava sempre in treno in terza classe e — ove possibile — anche in quarta classe, passando spesso le notti nelle sale d'aspetto delle stazioni. Ammonita ad avere più cura di sé, rispondeva tutta meravigliata: "Non è lecito sprecare i denari dei poveri". In occasione d'uno dei suoi viaggi in Danimarca, venne a sapere dai padri camilliani della penosa situazione di tanti bambini polacchi rimasti orfani in seguito a una grave epidemia. Senza tergiversazioni, colse questo come un altro appello di Dio; decise allora di trasferire la sua casa di Djursholm ad Aalborg (1917), dove ben presto si prese cura di 70 orfanelli. Ma per provvedere alle necessità di questi bimbi c'era bisogno di mezzi; con la sua tipica creatività e intraprendenza, fondò dunque un istituto di lingue e una scuola di economia domestica.

Nel frattempo, indotta anche dal bisogno di avere collaboratrici, a poco a poco richiamò dalla Russia tutte le suore operanti colà. Queste sue misure furono causa di meraviglia per chi non sapeva guardare più in là dell'immediato; ma quando scoppiò la Rivoluzione d'ottobre, anche chi non era riuscito a farlo prima giunse a capire la saggezza di tale provvedimento.

Sarebbe troppo lungo enumerare tutte le iniziative caritatevoli avviate dalla madre Ledóchowska durante questi periodi turbolenti. Quanto detto finora, anche se fatto soltanto di cenni piuttosto brevi, permette di cogliere in lei ciò ch'è tipico dei fondatori di istituti religiosi apostolici. In virtù del carisma che Dio le aveva concesso, sapeva guardare all'umanità e agli avvenimenti con gli occhi di Dio e, una volta colto ciò che gli altri non arrivavano a vedere, vi rispondeva con quella sollecita carità che sgorga dal cuore di Dio. Se si tiene presente la qualità di vita di figure di questo stampo, non stupisce che molte persone, di ambienti diversi e perfino di altre ideologie, fossero attratte dalla madre Orsola. Il celebre musicista Ignazio Paderewski, a esempio, non tralasciava mai di visitarla quando ne aveva l'opportunità; per parte sua il noto socialista Daszynski, dopo aver osservato attentamente le opere della madre Orsola e assistito a parecchie conferenze da lei tenute, disse candidamente: "Se persone simili si trovano nei conventi, sarebbe auspicabile allora che ve ne fossero molti"[12]. La fine della prima guerra mondiale e la visione di ciò che aveva causato spalancarono dinanzi a lei nuovi orizzonti apostolici, per rispondere alle nuove necessità.

La prova più dura

Fra queste, ritenne urgente il riportare in Polonia tutti gli orfanelli, affinché potessero crescere nella loro patria e in un ambiente di fede. La speranza di riuscire ad attuare tale piano era avvalorata dal progetto di costituire una "Unione" di tutte le case autonome delle orsoline in Polonia. La Ledóchowska non solo aderì a esso ritenendolo saggio, ma lo appoggiò con tutte le forze. Contrariamente però alle sue aspettative, le trattative si rivelarono ben presto molto difficili.

In un primo momento si era pensato che la trentina di suore che si erano associate alla madre Orsola in Russia e in Scandinavia avrebbero potuto essere aggregate al convento di Cracovia, vivendo in case distinte, rette da superiore proprie, al fine di poter continuare a occuparsi degli orfanelli. Quest'idea non fu però approvata dal Consiglio generale dell'Unione; questo propose invece che le suore di madre Orsola venissero inserite negli altri conventi, per svolgere solo i lavori domestici e, per di più, senza avere il diritto di entrare nella clausura e nel refettorio, se non in occasione delle grandi festività. In questa proposta non si faceva neppure cenno ai bambini, nei riguardi dei quali la Madre aveva ormai responsabilità molto gravi. Si può capire come, date tali premesse, gli sforzi compiuti per integrare la casa autonoma di madre Orsola nell'Unione delle orsoline polacche fossero destinati a rimanere infruttuosi, anche se con vivo dolore di tutte le interessate.

Guardando retrospettivamente questa pagina della storia sulla base di tutti i documenti riferentisi a tale complessa questione, non si può fare altro che confermare il giudizio che alcune persone lungimiranti avevano emesso già allora. Fra queste, il nunzio apostolico mons. Achille Ratti, che sin dall'inizio aveva consigliato alla madre Ledóchowska di continuare per la strada che la divina Provvidenza le aveva ormai chiaramente indicato. Dello stesso parere era stato anche il padre Vlodimiro Ledóchowski, che nel frattempo era stato eletto preposito generale della Compagnia di Gesù: in tale posizione egli aveva la possibilità di conoscere situazioni e fatti come era dato a pochi altri. Non vi è dubbio che le circostanze nelle quali si era formata e sviluppata la casa autonoma di madre Orsola, come pure l'ispirazione che a essa aveva condotto, erano fondamentalmente diverse da quelle del convento di Cracovia; lo stesso deve dirsi delle attività rispettive dell'una e dell'altra comunità e, di conseguenza, della formazione impartita alle suore. Non si sarebbe fatto che creare gravi problemi, se religiose formate in modo così diverso e con orientamenti di vita differenti fossero state immesse nella stessa comunità. Oltre a ciò, bisogna ricordare che la madre Ledóchowska aveva assunto obblighi precisi con il Governo danese proprio nei confronti degli orfanelli, che non potevano essere inseriti né tanto meno integrati negli internati tenuti dalle suore di Cracovia, destinati per la massima parte a elementi di provenienza ben diversa.

In tale situazione, non rimaneva altra soluzione che rivolgersi direttamente alla Santa Sede, per chiedere di poter trasferire la sua casa autonoma in Polonia e permettere che essa si sviluppasse in un nuovo ramo delle orsoline. Il 31 maggio 1920, la madre Ledóchowska ottenne d'essere ricevuta in udienza da Benedetto XV: quest'incontro, su cui ella faceva tanto affidamento, era destinato a costituire la prova più dura di tutta la sua vita. Il Papa era stato purtroppo informato in modo parziale e tendenzioso: ricevette perciò la madre Orsola in modo freddo, anzi glaciale. Dopo aver ascoltato la breve relazione da lei fatta circa lo scopo della sua visita, le disse senza indugi e con tono severo che sarebbe stato bene che essa tornasse nel suo convento. Poi chiosò questa domanda con l'osservazione che una suora che percorre così il mondo non fa del bene[13].

Oggettivamente parlando, questa osservazione era ingiusta. Come abbiamo avuto modo di esporre, Orsola si era recata in Russia per formale desiderio di Pio X; era il Pontefice che l'aveva incoraggiata in ogni modo, l'aveva sostenuta, concedendole anche permessi insoliti — quelli che i santi sanno dare — purché essa potesse continuare a svolgere quella missione tanto importante in Russia. Non era stata certo colpa della Ledóchowska se, per gli sviluppi politici, era poi sopraggiunta l'espulsione e se, non potendo tornare in Polonia a causa della guerra, aveva dovuto recarsi in Scandinavia. Una volta trasferitasi qui, era stato proprio con il permesso dello stesso Benedetto XV che si era messa a percorrere i Paesi scandinavi, prodigandosi per raccogliere fondi per la popolazione polacca. Negli ultimi tempi, poi, aveva compiuto ogni sforzo per inserire la sua casa autonoma nell'Unione delle orsoline polacche, ma anche ciò era caduto nel nulla a motivo di difficoltà oggettive, dipendenti non dalla volontà degli uomini, quanto piuttosto dall'azione di Dio che, avendola gratificata di un carisma apostolico, aveva dato origine a qualche cosa di nuovo. Si può dunque immaginare che cosa dovette passare nel cuore della Beata, quando si sentì trattare così duramente proprio dal Vicario di Cristo, verso il quale aveva sempre nutrito una fedeltà senza limiti. Essa stessa ce lo dice: “ Avrei voluto piangere. Per dire il vero, pensavo che gli altri per aver sopportato l'esilio e la persecuzione vengono accolti festosamente, e io non lo pretendevo né desideravo; però un rimprovero simile da parte del Santo Padre era molto doloroso”[14].

Ciononostante, Orsola, donna di fede qual era, si dichiarò pienamente   disposta a obbedire alla volontà del Pontefice, e per far comprendere le sue    disposizioni d'animo, disse di aver sempre seguito i consigli di suo fratello Vlodimiro, persona altamente stimata dal Papa. Il Pontefice,  sentendo queste parole, rimase perplesso; poi ripeté per ben tre volte che, stando così le cose, ella era stata ed era nelle mani migliori; di conseguenza doveva continuare a seguire i consigli del padre Ledóchowski. Pur dopo queste parole, il Papa congedò la madre Orsola in modo freddissimo e, benché restio a lasciarsi baciare il piede, questa volta non vi si oppose quando la Ledóchowska s'inginocchiò dinanzi a lui per prestare questo gesto di sottomissione. Un'esperienza cosi dolorosa ebbe conseguenze immediate e penose sul cuore della Madre; vi fu un crollo delle forze fisiche e un attacco di febbre altissima. Maria Teresa, sua sorella, si prese amorevolmente cura di lei nella casa di via dell'Olmata 16, il Generalato del sodalizio da lei fondato; il padre Vlodimiro si adoperò per chiarire le cose, ed egli stesso ci ha lasciato una relazione dell'accaduto che conferma parola per parola quanto abbiamo esposto. Inoltre ci mette al corrente del modo in cui agì per il bene della sorella.

"Per evitare che a causa delle false informazioni non le fosse fatto torto, pregai il padre Vidal, professore di diritto canonico all'Università Gregoriana e consultore della Congregazione, affinché esaminasse l'affare e desse per iscritto il parere. In seguito a questa opinione e alle anteriori lettere di propria mano scritte da Pio X, ella ricevette il desiderato riconoscimento della casa di Pniewy come convento e con questo riconoscimento tornò in Polonia. Evidentemente il Signore desiderava che questa opera passasse per tale prova"[15].

Non tocca a noi in questa sede commentare la vicenda e portare luce sugli antecedenti che indussero Benedetto XV ad agire nel modo sopra descritto. Non possiamo però dispensarci dal porre in risalto due tratti della faccenda, perché essi parlano da soli della nobiltà delle due persone interessate: Benedetto XV, essendosi reso conto di come veramente stavano le cose e del modo non giusto in cui era stato informato, nel giro di pochi giorni concesse alla madre Orsola tutto ciò che aveva chiesto; questa, da parte sua, pur profondamente ferita dall'atteggiamento del Papa, il giorno stesso dell'udienza aveva offerto la sua vita per il Sommo Pontefice.

Considerando questi episodi alla luce di quei criteri evangelici che costituiscono la scienza dei santi, e ammirando le vie della Provvidenza, non fa meraviglia che all'inizio della fondazione dell'Istituto, denominato delle Suore del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, si trovi un'esperienza cosi dolorosa. L'esistenza di coloro che vogliono vivere uniti a Cristo non può non essere marcata dalla croce: i santi comprendono bene ciò che nostro Signore ha detto: "Se il chicco di grano non muore, rimane solo ... però se muore porta molto frutto".

Ritorno in Polonia

Di fatto, dopo che madre Orsola aveva sostenuto questa dolorosa esperienza in spirito di fede, si direbbe che la Provvidenza volesse favorirla in modo singolare, talvolta addirittura straordinario. La Madre aveva sì  ottenuto il permesso di trasferire la sua casa autonoma in Polonia, ma le mancavano i fondi necessari per farlo. Improvvisamente però la moglie del console norvegese Stolt-Nielsen, che aveva ascoltato commossa una sua conferenza, parlò al marito e lo indusse a far dono alla Ledóchowska della considerevole somma di 20.000 corone svedesi. Questa elargizione le permise di acquistare una tenuta a Pniewy presso Pozna†, nella quale iniziò a trasferire le suore e gli orfani. Avrebbe anche voluto mantenere aperta una filiale in Danimarca, allo scopo di continuare la sua opera ecumenica in Scandinavia, ma non le fu permesso dalle autorità di Roma[16].

Il suo animo ardeva dal desiderio di aiutare sempre più e sempre meglio chiunque era bisognoso di luce interiore o di pane... perciò, pur trovandosi in condizioni economiche precarie, a Pniewy prese su di sé la cura di altri bambini polacchi reduci dalla Siberia e dal Giappone. Non avendo i mezzi per assumere operai per la coltivazione dei campi, lei stessa e le sue suore si sobbarcarono i lavori pesanti dell'agricoltura e dell'andamento della casa. Non tutti comprendevano questo suo comportamento, ma, come la Madre ebbe a dire varie volte, non vi sono lavori umilianti, specie quando si tratta delle cose di Dio: è vile solo ciò che non è fatto per amore e con amore.

Tanta generosità non passò inosservata. Attratte da questo spirito di serena donazione di sé e dedizione agli altri, numerose furono le giovani, spesso provenienti da famiglie aristocratiche e benestanti, che, avendo scoperto la loro vocazione religiosa, si presentavano alla Madre chiedendo di poter entrale nella sua comunità. Al tempo stesso, incominciarono a pervenire appelli di aiuto da parte di numerosi vescovi. C’è un tratto della spiritualità della Beata che viene messo in rilievo dal suo modo di rispondere a tali richieste di aiuto. Valga fra i molti un solo episodio che si commenta da sé.

II vescovo di una delle zone industriali della Polonia, venuto da lei per pregarla d'inviare alcune suore, le disse apertamente di aver già sollecitato l'aiuto di molte congregazioni religiose, ma sempre senza ottenere risposta: la sua città non solo era sporca, ma era anche priva di scorte sufficienti di acqua e di fognature adeguate; la permanenza in essa era malsana. La madre Orsola non ebbe neppure un istante di esitazione: accettò con premura l'invito e subito s'accinse essa stessa all'opera, organizzando fra l'altro cucine economiche e ogni sorta di iniziative caritative.

Mossa dallo stesso spirito, fondò numerose piccole comunità nella Polesia, al confine orientale della Polonia. La popolazione di quella zona, nella sua ignoranza, da principio non vide favorevolmente la venuta delle suore; pensava di dover provvedere al loro sostentamento! Ma non ci volle molto tempo per rendersi conto che le orsoline della madre Ledóchowska non erano venute per chiedere, bensì per dare; e in breve aprirono giardini d'infanzia, avviarono scuole e altre opere di grande utilità per la popolazione locale. E tutto era fatto con quella nota di bontà, soffusa d'umiltà, che era tipica della Madre. Queste case, per loro stessa natura, erano sempre deficitarie: la Madre doveva provvedere a inviare continuamente sussidi economici. Eppure non era questo il sacrificio più grande per lei. Ben più grave era la pena derivante dal fatto che le suore inviate in quella regione potevano assistere alla santa Messa soltanto una volta al mese, perché i sacerdoti scarseggiavano.

L'apostolato tra questa povera gente portò la Ledóchowska a rendersi ben presto, conto d'un altro problema. Spinti dalla miseria, molte giovani donne polacche emigravano in Francia, per lavorarvi nelle fabbriche. Non conoscendo la lingua del Paese in cui si recavano, ignare dell'ambiente in cui venivano a trovarsi, esse incorrevano naturalmente in notevoli pericoli. Per venire in loro aiuto, madre Orsola non esitò a inviare alcune suore in Francia, affinché lavorassero — come operaie — in quelle fabbriche in cui si trovavano le ragazze polacche. Dovevano essere loro vicine, condividere la fatica e le angosce per aiutarle veramente e così trovare le soluzioni apostoliche adeguate; in tal modo si giunse a creare un foyer per queste ragazze e in esso si avviarono iniziative e si favorì un'atmosfera che permettesse loro di vivere secondo la fede e la morale cristiana[17].

A Roma

Un altro esempio dello spirito apostolico della Beata riguarda il suo lavoro nella diocesi di Roma. Quando mons. Achille Ratti era ancora nunzio in Polonia disse una volta alla Madre che egli era soltanto un povero vescovo, ma che volentieri avrebbe fatto per lei tutto ciò che poteva. Eletto Papa, non dimenticò la madre Orsola, da lui considerata come una santa e, forse, la donna più intelligente che avesse conosciuto. Fu dunque lui a dirle di venire a Roma: intendeva affidarle la cura di un pensionato per studentesse universitarie. Avviato il progetto, provvide egli stesso a fornirle i fondi necessari per ristrutturare la casa, e rimase grandemente meravigliato quando, a lavori ultimati, madre Orsola gli presentò un resoconto preciso d'ogni spesa. Conoscendo di persona la storia e lo spirito di questa comunità, il Papa provvide personalmente per l’approvazione canonica definitiva in tempi insolitamente brevi.

Un ulteriore sviluppo della missione di queste "orsoline grigie", si ricollega a un’altra richiesta fatta da Pio XI. Egli pregò la madre Ledóchowska d'inviare alcune suore a Primavalle, una delle zone più povere e abbandonate della Città Eterna. A questo proposito, la Madre scrisse alle suore: " Vorrei annunciarvi ciò che per noi tutte dovrebbe essere una grande gioia. Il Cardinale Vicario vuole affidarci una missione - non in Africa - ma qui (a Roma), dove ugualmente c'è bisogno delle missioni... Vi sono solo baracche rosse e ci daranno una di quelle. Ho chiesto di non costruire per noi niente di meglio. E così vivremo assieme ai poveri, cureremo i malati e daremo a tutti il nostro amore"[18].

Potremmo riferire tanti altri casi, ma preferiamo soffermarci su ciò che è alla radice di tutto, ponendoci direttamente la questione: come è possibile che un Istituto tanto giovane potesse affrontare tanti lavori con esito cosi lusinghiero?

La spiritualità della Fondatrice

Una prima risposta può essere data riferendosi alle eminenti qualità organizzative della Beata e alla sua profonda conoscenza delle persone, che le permetteva di scegliere le più adatte a portare avanti le diverse iniziative. Ma c’è una risposta più completa e profonda: pur restando sempre l’animatrice e la guida, ella sapeva far emergere il meglio dalle sue collaboratrici. Non si può dunque rispondere alla domanda che ci siamo posti, se non si tiene presente che ella sapeva formare le suore in modo veramente eminente.

Già nel 1905, quando era ancora superiora delle orsoline di Cracovia, aveva insistito perché ogni novizia leggesse e meditasse quotidianamente la Sacra Scrittura, cosa veramente insolita in quel tempo. Fondatrice e generale del nuovo Istituto, provvide che all'inizio della vita religiosa ogni candidata ricevesse il Nuovo Testamento come base della sua vita spirituale. Anche le meditazioni scritte da lei mirano tutte a concentrare l'attenzione sulla persona e l'attività salvifica di Nostro Signore. Ella sapeva che le disposizioni di cuore d'una religiosa apostolica devono essere quelle che si assorbono dal contatto vivo con Gesù Cristo, dalla contemplazione dei suoi atteggiamenti che solo i Vangeli ci permettono di cogliere. Questa pietà così fortemente cristocentrica è alla radice della spiritualità dell'Istituto delle Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, e porta le suore a conformarsi in modo sempre crescente a Cristo Signore nel suo amore verso i più poveri e abbandonati materialmente e spiritualmente.

Un altro caposaldo della formazione che la madre Ledóchowska dava alle suore è l'accento sulla liturgia: la loro vita doveva essere, ed è, spiccatamente eucaristica. Proprio per questo, già molto tempo prima che ciò venisse a far parte dell'uso ormai comune presso le religiose, la madre Orsola provvide che ognuna delle sue suore avesse un messalino con cui seguire i sacri misteri e familiarizzarsi con la realtà e il significato di ciò che in essi è vissuto dalla Chiesa. Ma non basta saper cogliere queste realtà: per viverle, per far sì che lo spirito del Signore penetri nel cuore, è necessario prostrarsi dinanzi a lui in umile adorazione. Proprio per questo, secondo il pensiero e il volere di madre Orsola, l'adorazione di Gesù Sacramentato deve far parte della vita giornaliera: ciò ovviamente avvalora e rafforza la pietà cristocentrica che, se ben vissuta, comporta e intensifica un'autentica devozione mariana; questa infatti ha sempre contraddistinto la pietà della Ledóchowska e delle sue suore.

Posto chiaramente in luce tutto questo, che ovviamente fa parte della risposta alla questione iniziale, vogliamo sottolineare che l'aspetto forse più originale della spiritualità della Fondatrice e del suo Istituto si trova nella perfetta sintesi tra preghiera e lavoro. Anche sotto questo punto di vista, madre Orsola fu una precorritrice del Vaticano II che trattando degli istituti religiosi apostolici, ha detto che tutta la vita religiosa dei membri deve essere  compenetrata di spirito apostolico e tutta l'azione apostolica animata da spirito religioso[19].

La Beata sapeva naturalmente che la fonte della fertilità apostolica si trova nella profonda unione con Dio; giustamente essa non ne volle mai sapere di dicotomia tra preghiera e azione apostolica, né di distinzione fra fine primario e secondario. Proprio perché aveva meditato profondamente la vita di Gesù, aveva interiormente capito che per l'apostolo preghiera e azione apostolica costituiscono un tutt'uno. Seppe trasfondere quest'intuizione e questo spirito nelle sue figlie, abituandole a vedere Cristo in ogni persona che si presenta e ha bisogno, e a rispondere amorevolmente con le disposizioni di cuore con cui si dava Gesù.

Così si spiega perché la madre Orsola andava incontro a quanti l'avvicinavano con quel sorriso aperto e buono, del quale tutti i testimoni dei processi canonici hanno parlato come di una delle sue caratteristiche più spiccate. Pur assalita da richieste d'ogni genere, pur tutta dedita alle sue suore, durante le visite alle case da lei fondate, pur assorbita dai numerosi impegni di redattrice delle riviste[20], dall'espletamento della molteplice corrispondenza da lei tenuta, dalle consultazioni di autorità ecclesiastiche d'ogni livello, dalle innumerevoli conversazioni, il sorriso che riluceva sul suo volto rivelava forse più di ogni altra cosa la bontà che ella attingeva dalla contemplazione degli atteggiamenti di Gesù.

Questo sorriso non l'abbandonò nemmeno quando dovette affrontare l'ora suprema della morte. Aveva sostenuto eroicamente i dolori atroci di un cancro intestinale senza mai chiedere calmanti, e quando la fine si avvicinava al vedere una suora che era scoppiata a piangere, pur essendo ella ormai incapace di parlare, fece, sorridendo, un gesto con la mano verso il cielo e, ugualmente sorridendo, qualche istante prima di spirare, poggiò la sua mano su quella del fratello accorso al suo letto di morte[21].

Si spense a Roma. il 29 maggio 1939, nella Casa generalizia dell'Istituto, dove, in previsione della seconda guerra mondiale, aveva convocato le superiore per dar loro le ultime istruzioni. Con grande concorso di fedeli, le spoglie mortali furono tumulate nel cimitero del Verano; il 22 aprile 1959 furono trasferite nel Generalato di Via del Casaletto 557,  dove tuttora riposano21a.

Orsola Ledóchowska è morta, ma il suo spirito continua a vivere. Oggi la Congregazione da lei fondata conta 1100 suore in 99 Case: 72 in Polonia, 7 in Italia, 4 in Francia, 4 in Canada, 4 in Argentina, 2 in Finlandia e 1 in Germania Occidentale. Altro segno della vitalità dell'Istituto è il fatto, piuttosto insolito ai tempi d'oggi, che più di 100 sono le candidate e novizie che si preparano a continuare la missione della Beata. Se volessimo riassumere il significato di questa esistenza straordinaria, non potremmo fare cosa migliore che citare le parole con cui il Vaticano II descrive la funzione dei santi nella Chiesa:

“Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell'immagine di Cristo. Dio manifesta vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto. In loro è Egli stesso che ci parla, e ci mostra il contrassegno del suo Regno, verso il quale, avendo intorno a noi un tal nugolo di testimoni e una tale affermazione della verità del Vangelo, siamo potentemente attirati”[22].

[1]  Orsola Ledóchowska è stata beatificata da Sua Santità Giovanni Paolo il 20 giugno 1983, a Poznan (Polonia). Della nuova Beata esistono numerose opere e studi, fra i quali ben 12 tesi di laurea. Tralasciando la vasta letteratura in polacco, ci limitia-mo a indicare le pubblicazioni di maggior rilievo apparse finora in italiano: S. DAL POZZO, UNA DONNA POLACCA. Da Pietroburgo a Roma: Madre Orsola Ledóchowska, Morcelliana, Brescia 1949; M. KUJAWSKA, SULLE VIE DEL CONCILIO, Ars Nova, Roma 1965; ld., Ledóchowska, Julia Maria, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, vol. 5, Ed. Paoline, Roma 1978, cc.567-569 (con bibliografia); G. MIREWICZ, M. Orsola Ledóchowska ossia una lezione di ottimismo, Congregazione Suore Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante, Roma 1983; R. FIORILLO, M. Orsola Ledóchowska Investita dallo Spirito Santo, ivi Roma 1983. D'importanza speciale sono gli scritti della madre Orsola, gli Atti dei processi istruiti in vista della beatificazione, la Posizione composta di varie parti redatte dalla Postulazione Generale della Compagnia di Gesù, alla quale la causa e stata affidata fin dai suoi primi passi. La parte chiamata Informatio — ossia la presentazione storica e teologica della persona — consta di 298 pagine in folio e di un apparato scientifico di 1093 note con migliaia di riferimenti a tutta la materia processuale. Per non appesantire il nostro esposto, interamente fondato sul materiale or ora indicato, ci asteniamo dall'indicare ogni volta le fonti a cui abbiamo attinto.

[2]  Cfr M. T. WALZER SSPC, Su nuove vie. Della vita e dell'attività della Venerabile Serva di Dio Maria Teresa Ledóchowska, versione dal tedesco. Suore Missionarie di San Pietro Claver, Roma 1974, 9.

[3]  Cfr la voce Ledóchowski,  Misczyslaw Halka, in Enciclopedia Cattolica 7, 1016-1017.

[4] Da un precedente matrimonio con La contessa Maria Seilem, morta in  giovane età Antonio Ledóchowski aveva avuto tre figli che divennero dunque fratellastri di  quelli avuti nel secondo matrimonio: di questi alcuni morirono in tenera età. Il più giovane di tutti, Ignazio, divenne istruttore nell’Armata  Sotterranea al tempo dell’insurrezione di Varsavia, durante l'ultima guerra mondiale (1939-1945), morì nel campo di concentramento di Grobsen.

[5] Cfr. P.MOLINARI SI, Maria Teresa Ledóchowska.  Profilo spirituale di una nuova  beata in Civ. Catt. 1975 IV  45-53; G. PAPASOGLI,  Maria Teresa Ledóchowska, Suore Missionarie di S.Pietro Claver 1950; M.Winowska, Allez dans le monde entier, Ed. Saint Paul, Paris- Fribourg 1975;M.T. WALZER, op. cit..

[6] Del padre Viodimiro Ledóchowski non esiste fino al giorno d'oggi una biografia completa di carattere scientifico. L'opera: G. CASSIANI INGONI Sl, P. Viodimiro Ledóchowski XXVI  Generale d.C.d.G., 1866-1942, Civiltà Cattolica, Roma 1945, contiene molti elementi utili ma non è sempre sufficientemente critica. Vedi pure: I. Azzolini SI, Il M. R. P. Vlodimiro Ledóchowski, XXVI preposito generale della Compagnia di Gesù (+ 13 dicembre 1942), in Civ. Catt. 1943  I  39-47; E. LAMALLE SI, In memoriam: Adm. R. P. Wlodimirus Ledóchowski, 1866-1942, in Archivum hist. S. I. 12 (1943) 1-4; Adm. R.P. Wlodimirus Ledóchowski, praepositus generalis Societatis Iesu, vice-magnus cancellarius Pontif. Univers. Gregor. In Memoriam, in Gregorianum 23 (1943) 267-274.

[7] Dai ricordi relativi a mia sorella. Documento redatto in data 6 aprile 1941 dal padre Vlodimiro Ledóchowski, SI. L’originale di questo documento si trova negli archivi della Congregazione delle Orsoline del Sacro Cuore di Gesù Agonizzante e fu riprodotto nella Posizione sull’introduzione della causa, Summarium  responsioni additum; 35.

[8] Ivi,36.

[9] Cfr  L’esplicita testimonianza dell’arciv. Vladimirus  Bronislaus  Jasinski. Teste II nel Processo di Cracovia. Positio super Causae intoductione, Sommarium Roma 1969. 106, § 223.

[10] Ivi, 165, § 352; 235, § 522; ecc.

[11] Ivi, 283,  § 629.

[12] Ivi, 127, § 273.

[13] Ivi, Sommarium  responsioni  additum, 1981, 21-22,  con il riferimento a  Scripta Ursulas Ledóchowska, E/32/89-90.

[14] Ivi.

[15] Dai ricordi relativi a mia sorella, cit.,37.

[16] L'attività svolta nei Paesi scandinavi, e quindi fra non cattolici, ha lasciato tracce così profonde che alcuni vescovi di quell'area hanno sentito il bisogno di chiedere alla Santa Sede la beatificazione di Orsola Ledóchowska, considerandola come un’antesignana dell’ecumenismo caldeggialo dal Concilio Vaticano II. Cfr le lettere dei vescovi di Stoccolma e di Helsinki, in Positio super Causae Introductione, Litterae Postulatoriae, Roma 1972, 38-40.

[17] Cfr quanto ha scritto il segretario generale della Mission Catholique Polonaise en France, Zbigniew Bernacki, in data 17 ottobre 1968, ivi, 50.

[18] Circolare del 17 aprile 1932, ivi, II.

[19] Cfr Perfectae Caritatis, n. 8.

[20] In quest'articolo non abbiamo potuto trattare di altri aspetti della sua attività apostolica che però non vorremmo passare sotto silenzio. Oltre a tutto ciò che Orsola Ledóchowska scrisse per i fini interni della Congregazione religiosa da lei fondata — Costituzioni, meditazioni, testamento spirituale, ecc. —, non si può ignorare che ella fondò e fu redattrice della prima rivista cattolica svedese: Solglimtar (Scintille del sole), e di altre due riviste collegate alla Crociata eucaristica da lei introdotta in Polonia, che giunsero presto a una tiratura di oltre 80.000 copie.

[21] Fra le tante dichiarazioni e testimonianze che si potrebbero produrre per descrivere gli atteggiamenti della Beata negli ultimi giorni della sua vita, ci sembra essere particolarmente, significativa quella lasciata dal suo medico curante, dott. Amedeo Magrone: “Posso dire che in 35 anni di professione non mi è mai capitato di vedere un’ammalata così calma e rassegnata al passo estremo”, Positio super Causae introductione,Summarium, Roma  1969, 56, § 123.

21a Il 12 maggio, 1989 le spoglie mortali  della Beata Madre  Orsola Ledóchowska furono traslate nella casa Madre di Pniewy (Polonia), la cui cappella divenne subito Santuario e meta di  numerosi pellegrinaggi.

[22] Lumen Gentium, n.50