La Congregazione delle Suore Orsoline del S. Cuore di Gesù Agonizzante

Madre Orsola Ledóchowska

STORIA della CONGREGAZIONE

 

(pro manoscritto, Roma)


L'anno 1915

    L'Anno Nuovo (1915) cominciò con l'influenza di Sr. Zaborska, la quale pure se non fu molto forte, la trattenne ancora qualche giorno a Stoccolma. Come sarà quest'anno nuovo e che cosa ci por­terà? Non sembrava che la guerra dovesse finire presto; le vitto­rie dei Russi ai alternavano a quelle dei Tedeschi. Sr. Zaborska mi consigliava di recarmi per un po' di tempo da M.Teresa a Salzburg (Maria Sorg). Attraverso la Svezia avrei potuto corrispon­dere con le mie Suore e sarei stata con mia sorella, la quale mi voleva tanto bene. Tutte le volte che fosse stato necessario avrei potuto lo stesso tornare in Svezia, che sarebbe valso rimanere sempre sola a Stoccolma.

All'inizio esitai, poi finalmente mi decisi di andare ‑ cioè di scrivere a M.Teresa del mio progetto dopo la partenza di Sr. Zaborska. Ella se ne andò il 6 gennaio 1915. Guardavo con maggior coraggio il futuro. Il soggiorno di Sr. Zaborska a Stoccolma mi rimise in piedi pur se mi era costato molto di congedarmi di nuovo da lei. Scrissi allora a M.Teresa chiedendo per un po' di tempo la sua ospitalità a Maria Sorg. Sempre di più mi sorrideva questo pensiero, e mi meravigliai tanto quando qualche giorno dopo ricevetti il suo telegramma: "Non venire”. Perché? Non trovavo la risposta a questa domanda. Facevo mille supposizioni. Che si­gnifica questo? Di nuovo risentivo maggiormente la mia solitudine pur se ero più tranquilla che prima di Natale. Qualche giorno dopo mi arrivò la lettera di M.Teresa. Una lettera che non avrei mai aspettato dalla sorella che mi voleva tanto bene. Scriveva che non vedeva nessuna ragione per cui dovessi andare da lei, se non avevo intenzione di unirmi al suo Sodalizio. (Ella non va perdere la speranza che la nostra Congregazione si sarebbe unita con la sua). Una lettera tanto fredda, senza la minima comprensione del mio isolamento, del mio esilio ‑ mi aveva fatto tanto male. Nel primo momento non potevo comprendere il cambiamento di M.Teresa. Dopo poco tempo capii, che ella fu lo strumento nella mano della Provvidenza, la quale vegliava sul nostro piccolo gruppo. Se fossi partita per Salzburg, non avrei potuto più tornare in Svezia. Le mie Suore sarebbero rimaste in Russia sotto i Bolscevichi e saremmo rimaste per molto tempo completamente distaccate tra di noi… Sarebbe stato questo dunque il colpo di grazia per noi.

Diversi erano i disegni di Dio riguardo a noi - Egli voleva che il nostro piccolo gregge di nuovo si riunisse e crescesse… M.Teresa doveva essere dura con me ‑ in questo era la nostra salvezza ‑ Dio le ispirò questo comportamento. Più tardi sentì il dispiacere che mi aveva recato, se ne pentì con tutto il cuore ed io dovevo soltanto ringraziarla per questo. Questo avvenimento appartiene per me ad una delle prove più tangibili, che per volontà di Dio siamo quel che siamo. Il Signore stesso volle chiamare alla vita la nostra Congregazione.

Dopo Capodanno (1915) molte persone cominciarono ad avvicinarmi. E così venne da me la Sig.a Morner, una grande amica dei Polacchi; la Sign. Aminoff, la quale a volte sentiva di avere vocazione; conobbi il Signor Lempicki, l'ex‑deputato alla “Duma” - con la moglie. Lady Isabella, la moglie del console inglese mi chiese di dare ai suoi figli una volta la settimana una lezione di francese e di rimanere da loro per il lunch; parve che volessero distrarmi un po' dalla mia solitudine. Andai da lei una volta all'inizio, poi non più, poi mi invitò per le lezioni. Questo mi costava molto. La prima volta quando andai da lei come ospite, mi accolse da ospite, invece dopo quando mi presentai per la lezione mi trattò come un’insegnante a pagamento. Particolarmente una volta, dopo la lezione entrai nel salotto, vi era presente una signora, mi presentò appena, allora mi sedetti vicino ai bambini come una governante e vidi che la signora domandava chi fossi. Il mio orgoglio si ribellò e fui sul punto di ricordare a Lady Isabella le buone maniere, però ebbi abbastanza buon senso, di rivolgermi per lettera a Padre Tuszowski, domandando se mi fosse convenuto alzare la testa oppure accettare silenziosamente questo modo di trattare dall’alto in basso. Il Padre rispose di sopportare silenziosamente - ed io mi adattai, però per poco tempo, perché in breve la stessa Lady Isabella cambiò tattica. Divenne per me una vera e molto buona amica e mi fu di aiuto in diversi momenti difficili, come anche Sir Esmee – ed i ragazzi erano molto carini – in “dicke Freundschaft” con me. Alla fine di gennaio arrivò una lettera con la notizia che le suddite austriache di origine polacca dovevano lasciare Pietroburgo.

Dopo poco tempo arrivarono ‑  Sr. Margherita e Sr. Marta. Si fermarono da me due giorni, poi ho dovuto spedirle, perché no sapevo cosa fare con loro a Stoccolma. Dovevano andare prima a Salzburgo – d’accordo con mia sorella, e poi proseguire per Cracovia. Hanno avuto un viaggio molto difficile, poverelle, ma finalmente arrivarono. Sr. Marta si ammalò a causa di questo viaggio ma poi cominciò a migliorare (era malata di polmoni e si vede che il clima le faceva bene).

Le lettere che arrivavano da Pietroburgo mi convincevano che di fronte all’ostile atteggiamento del corpo insegnante di Santa Caterina verso di noi, mi sarebbe convenuto ritirare di lì le suore. Ricevevo delle notizie che mi sdegnavano; puo’ darsi che le prendevo anche in una maniera troppo tragica, ma la solitudine e la preoccupazione per le mie figliole mi mostravano la situazione nelle tinte più nere della realtà.

Verso la fine di febbraio venne Sr. Wielowiejska, mandata via dalla Russia – perché suddita austriaca. Che cosa dovevo fare con lei? Inviarla a Cracovia mi dispiaceva, perché conoscevo la sua dedizione e poi avevo intenzione di aprire una scuola in Svezia, mi sarebbe servita. Dai Signori Cormery non c’era spazio sufficiente per due persone. Risolvettero la questione, senza alcuna domanda da parte nostra le Suore di San Giuseppe- La Superiora mi offrì appartamento libero nel loro convento. Un’entrata separata – l’anticamera, due stanze a poco prezzo; il vitto invece avremmo ricevuto con loro nel refettorio in cambio delle lezioni che avremmo dato. Accettai volentieri e il 1° marzo mi trasferii con Sr. Wielowiejsaka dalle Suore di San Giuseppe, dopo aver salutato molto cordialmente la tanto buona e simpatica famiglia Cormery.

… Mi dimenticai di dire una cosa molto importante; devo tornare indietro nel tempo; ai primi di febbraio. Padre Benelius mi disse che l’undici febbraio avrebbe avuto luogo l’elezione del Generale dei Gesuiti. Mi aveva menzionato, che parlavano del mio Vladimiro, però più si avvicinava più spesso predicava che con la massima probabilità sarebbe stato eletto come Generale un Italiano. Pare volesse risparmiarmi una delusione, pur se credo non l’avrei presa in maniera tragica.

Il 12 mattina andai c0ome al solito in chiesa - subito alla porta mi salutò Fra Pedsold: “Ich gratulire, ihr bruder ist General”. Naturalmente ne fui molto contenta, perché voglio molto bene al mio Vladimiro, ed anche i Padri erano contenti. I buoni Signori Cormery servirono il vino per il pranzo e bevemmo tutti alla salute del Padre Vladimiro; i Padri appesero subito nel parlatorio la fotografia di mio fratello. Mi raccontarono che, subito dopo l'elezione, tenne una bellissima conferenza  - naturalmente gli avevo scritto subito una lettera e sentii, di volergli ancora più bene.

Ritorno ai primi di marzo. La nostra vita nel piccolo appartamentino presso le Suore assomigliava già un po' alla vita religiosa. Al mattino la meditazione e la S.Messa in cappella con le Suore, i pasti nel refettorio, qualche lezione in classe – giù, cioè da noi, discutevo con Sr. Wielowiejska dei nostri affari e ci sentivamo più in famiglia, naturalmente, in famiglia religiosa. Qui venivano più persone a trovarmi, poiché avevano la sensazione di trovarmi a casa mia; le Signore cominciarono ad insistere af­finché fondassi a Stoccolma come a Pietroburgo la Congregazione Mariana. La Signora Loster. moglie del segretario dell'ambascia­ta austriaca, tornando dalla prigione in Austria via Stoccolma. raccontò alla Signora Lempicka e la Sign. Mornen, della nostra Congregazione a Pietroburgo e le convinse di rivolgermi questa preghiera. Non sapevo cosa decidere, ma Padre Beneliús m’invogliò di prendere l'iniziativa, perché loro non avevano tempo, ed allora promisi di occuparmene.

Le Signore cominciarono a raccogliere le persone che deside­ravano appartenere a questa Congregazione. Io intanto feci una conoscenza interessante e vantaggiosa. Verso il 6 marzo, la sera mi fece visita una sconosciuta corrispondente del giornale “Aftonbladet”. Seppe cha ero la sorella del "Papa nero" e venne a chiedermi delle informazioni. Le raccontai tutto quello che potevo dire senza commettere indiscrezione ‑ le parlai anche del­la Polonia ‑ vidi le lacrime velare i suoi occhi buoni... Si o chiamava Anna Liza Anderson, e scriveva sotto il nome d'arte "Kugleg". Acquistai una nuova e fedele amica.

Il 19 marzo, col permesso del Padre Benelius e del Vescovo, ebbe luogo la prima riunione della Congregazione Mariana, una riunione preparatoria, perché solo dopo aver saputo l'esito della mia opera avrei chiesto l'erezione e l’attuazione alla Prima Primaria. Si raccolsero parecchie persone. Nomino solo quelle che divennero per me delle vere amiche: Doktorinnam, Sundstrom, la Signora Doris Herzog, Contessa Sparre, Sign. Olga Hyblon, due Signorine Foss e molte altre; attraverso questo riunioni che da allora si tenevano ogni mese conobbi la Signora Tomasini, moglie del console italiano ‑ la gente rideva un po' di lei perché era un'Italiana molto chiassosa, ma tanto buona. Da quando ci incon­trammo mi aiutò ogni volta che poteva.

Ero sempre più occupata e la vita diventava sempre più nor­male, senza quella terribile nostalgia che sentivo agli inizi, pur se mi mancavano tanto le mie figliole.

Nelle lettere che scrivevo a Sr. Zaborska insistevo sempre di più affinché abbandonassero il pensionato di Santa Caterina e venissero da me in Svezia ove avremmo aperto una scuola di lingue. Le Suore dovrebbero trovarsi insieme alla loro superiora; a Pietroburgo la vita religiosa avrebbe potuto subire una pericolosa deviazione, perché non c'era nessuno che vegliasse su di loro. Non c'era nessuna suora che la conoscesse veramente e di fronte all'ostile atteggiamento del corpo insegnante verso il pensionato conveniva abbandonarlo e basta.

Sr. Zaborska non era del medesimo parere, io invece lo ritenevo sempre più necessario. Presentai le mie ragioni a Padre Vladimiro, il quale rispose che in base alle notizie che gli inviavo, anche lui era del parere di dover ritirare le Suore dal pen­sionato. Non volevo però ritirare anche le insegnanti nostre dal ginnasio. Vedevo forse nelle tinte troppo nere il brutto modo di fare delle insegnanti e del sindacato ‑ tanto più che da lontano e sotto una certa tensione, l'impressione negativa aumentava. Porse trasformavo un po' una mosca in elefante, ma il Signore volle così e proprio questo salvò le mie figliole.

In quei tempi venne da me il Signor Lempicki, il quale ricevette una lettera da Enrico Sienkiewicz, che si trovava a capo del comitato di Vevey pro vittime della guerra in Polonia. Chiedeva di interessare gli Svedesi alla triste sorte della Polonia e di raccogliere un po' di soldi. Quale iniziativa prendere? Non sapevo molto bene che cosa mi convenisse fare. Scrivere non avrebbe aiutato un gran che. Forse avrei dovuto dire qualche parola dopo aver letto l'appello di Sienkiewicz. La lingua francese, una certa contessa polacca ‑ attireranno. La gente verrà e si farà qualcosa, come attraverso il giornale. Il Signor Lempicki accolse questo pensiero con gioia. Chiesi al Padre Benelius se potevo fare ciò. Rispose che il Santo Padre vuole che ognuno aiuti e soccorra le vittime come può. Allora dirò qualcosa sulla Polonia.

M'impegnai e cominciai a preparare la mia conferenza.

Si avvicinava la Pasqua – quest’anno veniva abbastanza presto, se mi ricordo bene il 4 aprile. Qualcuno doveva venire da me da Pietroburgo. Decisero che sarebbe venuta Sr. Maculewicz. Con gioia salutai la mia buona vecchia. Subito cominciai a discutere con lei il problema della necessità di ritirare le Suore dal pensionato; ella era del mio stesso parere e così io ne rimasi maggiormente convinta.

Bisognava ritirale dopo tante prove di manifesta ostilità. Quei pochi giorni con Sr. Maculewicz passarono presto. Compilai una lettera per Padre Budkiewicz annunciandogli che non vedevo altra via di uscita che ritirare le Suore dal Pensionato. Sapevo che la Sign. Rzeszotarska poteva occuparsene, perciò chiesi di lasciarle libere fino alla fine dell’anno scolastico. Sapevo, che Sr. Zaborska era molto contraria a questa mia decisione, perciò scrissi anche a lei, dicendole che lasciavo alle Suore del Pensionato una totale libertà; io avrei iniziato la scuola qui, quelle che non volevano unirsi a me, potevano rimanere. Queste lettere inviai tramite Sr. Maculewicz, la quale ritornò a Pietroburgo.

Intanto si avvicinava il giorno della mia conferenza e mi davo da fare andando con Signor Lempicki dai diversi redattori per invitarli a chiedere di scrivere nei giornali che il 12 aprile avrei tenuto la conferenza in lingua francese a Vetenskapskademien, e il 14 aprile in tedesco a K.F.U.M. I biglietti erano gratuiti e furono presi tutti. Invitarono anche per la conferenza francese il Principe Carlo con la consorte, la Principessa Ingeborg tutti i “ministres plènipotentiaires” dalla parte di Intenta, e per la conferenza in tedesco tutti i ministri della parte tedesca. Lady Isabella, la Sign. Tomasini, moglie del console italiano e le mie signore della Congregazione Mariana facevano un’enorme propaganda – io invece più si avvicinava il giorno 12, più venivo presa dal timore. Non pensavo di affrontare un’impresa in grande stile, con tanta gente presente – però non mi potevo più ritirare, dovevo mantenere l’impegno.

Il 12 fu una bella giornata ed una serata serena. Le mie fedeli signore mi accompagnarono a Vetenskapskademien. La sala era piena e tra l’auditorio si trovava anche Selma Lagerlof (la più grande scrittrice svedese). Io aspetto e il cuore mi batte fortemente. Bisognava ricordare le parole del buon Padre Benelius: “Sagen Sie sich nur: Jetzt werde ich reden und ihr musst alle schweigen”. Diedero cenno ‑ esco con la medaglia delle Figlie di Maria addosso – qualche parola di ringraziamento a quelli che erano venuti per ascoltare la conferenza ‑ una breve introduzione ‑ poi la lettura della lettera di Enrico Sienkiewicz, e il seguito. Un colpo d'occhio sulla funzione della Polonia in seno dell'Europa, baluardo della cristianità, odierna desolazione, lotte fratricide, la speranza del futuro migliore ‑conclusi con questa strofa dell'inno “O Dio che la Polonia”:

Et si meme malgré ce martyr sanglant

Nous avons encore mérité ta colère

Réduis nous Seigneur, o Dieu tout puissant,

En poussière réduis, mais libre poussière !

Man mano che parlavo si dissipava il mio timore. Vedevo che ascoltavano attentamente, anche commovendosi. Dopo la conferenza battevano le mani e davano i soldi alle ragazze che si erano fermate vicino alla porte con gli appositi vassoi. Io andai al salone perché ero molto stanca. Venne da me il ministro russo, mi offri 100 rubel e disse con le lacrime agli occhi: "Madame, nous ne sommes pas tous comme cela”. Il giorno dopo tutti i giornali avevano pubblicato gli articoli sulla nostra conferenza; ne parlarono con molto calore. B.Branting, redattore del “Stokholm’s Social Demokraten” poi Presidente del Consiglio dei Ministri fini la sua recensione con queste parole: “Giovedì la Contessa Ledòchoka terrà una conferenza in tedesco, e quel che ha da dire merita di essere ascoltato da tutti gli uomini e donne che non sono privi del cuore". Giovedì, la conferenza in tedesco ‑ di nuovo la sala piena ‑ ma questa volta parlai già senza timore, perché sent­ivo che riuscivo a dominare il pubblico, e da allora le mie conf­erenze non mi toglievano più né il sonno né la pace. Anzi parlavo volentieri, perché mi ero accorta che evidentemente il Sign­ore mi aveva dato il dono della parola.

Tutte e due le conferenze portarono poco più di 150 corone, circa 2.000 zloty. Subito dopo queste conferenze mi visitò un pastore protestante dell'ambasciata inglese; mi disse che avrebbe avuto una conferenza sulla Terra Santa a vantaggio della Polonia e chiedeva affinché anch’io parlassi brevemente dopo di lui in inglese. Accettai ‑ dovevo prepararmi per bene, ed il 26 a­prile ebbe luogo la conferenza del pastore e la mia allocuzione. Si vede che gli aveva toccato il cuor – c’era Sir Esmer e Lady Isabella e tutta la colonia inglese. Davano delle offerte abbastanza grandi, perché raccogliemmo 461 corone svedesi. Dopo tutti questi lavori ed emozioni fui presa dal timore riguardo al nostro futuro.

Padre Budkiewicz scrisse che accettava le nostre dimissioni dal lavoro. I ponti erano bruciati. Quel che mi sembrava prima di essere una necessità, adesso mi apparve come una somme impru­denza. Come mi scriveva giustamente Sr. Zaborska le suore guadagnavano bene nel Pensionato, avevano il loro mantenimento ben assicurato e potevano anche coprire le spese del mio soggiorno in Svezia. Inoltre adesso, quando i Polacchi erano circondati a Pietroburgo delle attenzioni particolari perché avevano bisogno di loro ‑ potevano svolgere un bellissimo lavoro. A causa della mia rottura col Pensionato rimasero senza risorse. Verranno in Svezia ‑ però se la scuola che ho nella mente non farà, una buona riuscita... di che cosa vivremo? Io avrei potuto ancora tornare a Cracovia, ma loro no. Avremmo potuto rimanere nella miseria, e tutto per colpa mia. Effettivamente il passo che avevo fatto era poco ponderato e molto imprudente ‑ prendevo troppo a cuore i piccoli inconvenienti sui quali bisognava passarci sopra e dimenticare; però il Signore aveva voluto che avvenisse questo. Vi era la sua mano. Se mi fossi fatta guidare dalla prudenza umana le suore sarebbero rimaste nelle mani dei Bolscevichi; una nuova prova, che il Signore custodiva in una maniera particolare il mio piccolo gregge e ci salvò dalla perdizione.

Mi decisi in quel tempo di andare da Ellen Key e da Wernand Heidenstan, il più grande poeta svedese di quei tempi – volevo interessarli della causa della Polonia ed un po' anche saggiare il terreno per quanto riguardava l’istituzione della scuola delle lingue. Partii per questo il 3 maggio per Alwastri – stazione ferroviaria dalla quale avrei dovuto arrivare a Stranden ove abitava Ellen Key. Mi trovai ad Alvastri verso le sette della sera. La giornata era grigia e piovosa, nel tardo pomeriggio la neve cominciò a cadere fitta, fitta – quando scesi, non trovai nessuno alla stazione. Intanto la neve continuava a cadere ‑ tutto diventò bianco – cominciava a farsi buio. Mi dissero che vi era un albero non molto distante, mi indicarono la strada. Presi le mie valigie e cominciai a camminare. Più mi allontanavo dalla stazione, più mi sentivo sperduta. La neve cadeva talmente fitta, che non si vedeva nulla. Entrai nel bosco attraverso un viottolo sconosciuto; ero bagnata e stanca perché portavo la valigetta e mi affondavo nella neve. Fui sul punto di lasciarmi prendere dalla tristezza, quando finalmente il boschetto finì e vidi di fronte a me l’albergo tutto illuminato  ‑ la meta della mia marcia. Mi sentii più rassicurata. Presi una cameretta. Mi dovevo cambiare completamente, perché ero tutta bagnata. Dopo poco tempo vennero da me dalla parte di Ellen Key per informarsi se ero arrivata e se volessi andare da lei subito. Fui contenta che qualcuno avesse pensato a me in quel deserto, però risposi che sarei rimasta per la notte nell’albergo, perché avevo preso l’acqua ed ero stanca. Il giorno seguente vi fu un bel sole, pur se ancora tutto bianco. Mi vestii e mi feci accompagnare da Ellen Key. Ella aveva una bellissima villa proprio sul Wetterso; si chiamava “Am Strandem”. Mi accolse con molto affetto – pianse sulle disgrazie della Polonia e mi promise di fare una conferenza a vantaggio del Comitato di Sienkiewicz. Ella era già di età avanzata, simpatica, sana e di una robusta costituzione. Faceva impressione di essere molto vivace e molto buona. Aveva fatto tanto male coi suoi scritti e le sue conferenze - e pure aveva tanto cuore e tanta bontà. Un grande talento, una natura di fuoco, piena di entusiasmo, senza la guida della religione, smarrita andava a tentoni. Nella sua esuberanza, sosteneva con gli scritti teorie che non metteva in pratica nella vita. Con me fu gentilissima.

La neve si andava squagliando, era una bella calda giornata di maggio. Mi fece vedere il suo giardinetto con le arnie. Andammo in un boschetto di faggi che si trovava sui pendii del famoso dalle leggende popolari svedesi Oberg. La natura bellissima e tutti quei ricordi che sono legati con questa parte della Svezia. Quasi si sente ancora qui lo spirito di Santa Brigida, di Caterina. Qui  vivevano, lavoravano, soffrivano nel lontano passato.

Mi pare che solo il secondo giorno, dopo aver salutato Ellen Key, partii per Wedsten situato sull’altra estremità di Wetternsjo. Una buona svedese mi accolse e mi fece da guida in quella storica cittadina. Un bellissimo castello antico dai tempi di Gustavo Wasa ‑ dentro completamente in rovine, ma imponente dalla parte esterna con le sue torri e bastioni. Quel che m’interessò maggiormente fu la chiesa ed il convento di Santa Brigida. Ella lo fece costruire per le sue suore. Una chiesa relativamente non molto grande; mi pareva un vecchio gotico, costruita in un marmo che dava nel celeste, faceva una strana impressione di qualcosa di ultraterreno. Naturalmente l’hanno abbruttita con delle varie restaurazioni e l'adattamento al protestantesimo ‑ faceva male al cuore vedere queste alterazioni. Per terra si vedevano dei crani. Mostravano il cranio di Santa Caterina e di Santa Brigida. Gli Svedesi non prendono in considerazione e non riconoscono i meriti di quella che fu il decoro della loro patria e che ebbe anche una grande influenza sul papato della cattività avignionese. Il convento fa una triste impressione. Vi si trova un ospedale per gli alienati. Un bellissimo antico refettorio con delle graziose colonne serve come dormitorio a quei poverelli. Ci fanno vedere una piccola cella ove pregava Santa Brigida. Vi si conserva anche la sua immagine. Rimaneva su questa terra appena un ricordo indifferente di quel magnifico passato, della santità, della preghiera, però in paradiso esso vive e vivrà eternamente nei cantici di lode di amore e della felicità senza fine.

Verso sera ci recammo a Naddo ‑ il podere del più grande poeta svedese Werner von Heidenstan. Volevo Interessare anche lui ­alla causa della Polonia. Ci ricevette davanti alla sua palazzi­na situata sul Wattern, la quale a causa dell'insenatura della riva si trova dirimpetto al convento di Santa Brigida, che dall' altra parte si speechia nelle acque di Wetternsjo. Una palazzina tanto bella; il parco è pieno di vecchi alberi e di fiori, vera sede di poesia e di arte. Werner von Heidenstan, pur se protestante, o più esattamente piuttosto ateo ‑ ha una strana simpatia per Santa Brigida. Abita qui, gustando molto la veduta del vecchio convento, della sua chiesa con una bella torre. D'inverno - così mi raccontava egli stesso ‑ quando davanti alla chiesa si accende una lanterna, da Naddo, questa sembra una lampada del SSmo Sacramento. Le sacre Specie mancano da tanto tempo da questa chiesa abbandonata, ed il solo ricordo della lampada attira ad essa gli occhi ed il cuore di questo poeta senza fede.

Werner vor Heidenstan non s’interessò della Polonia. Non volle nemmeno appartenere al Comitato che noi fondammo a Stoccolma per raccogliere un po' di denaro a vantaggio di questo paese così bi­sognoso. S'interessò di più dell’iniziativa della scuola di lingue. Gli piacque molto questo pensiero, mi indicò anche la loca­lità in cui secondo lui avrei potuto istituire questa scuola. Sono stata poi sul posto a Grana, una bellissima località. Un magnifico castello, però tutto molto adatto per un poeta e per niente per una scuola.

A Stoccolma ho dovuto di nuovo preparare una prelezione in tedesco, però preferii una conferenza ‑ non leggo mai, perché questo guasta l'effetto; il 10 maggio avrei dovuto parlare ad Upsala nel palazzo dell’Arcivescovo protestante Soderblom. Qualche giorno prima gli feci una visita, perché ci tenevo ad interessare alla causa della Polonia un vasto pubblico ed egli m’invitò per una conferenza. Era un uomo relativamente giovane. Si sentiva dire, che c'era da dubitare sulla sua fede… però molto ambizioso, voleva assumere nel suo ambiente il ruolo di un “papa protestante”, però naturalmente solo la Svezia lo riconosceva. Verso la Polonia era, o piuttosto fu, a principio ben disposto – poi, mi pare prevalsero su di lui le influenze tedesche.

Lunedì sera mi recai con la mia fedele compagna del Aftonbladet ‑ è corrispondente di questo giornale ‑ a Usala. Ella scrive sempre delle bellissime critiche sulle mie conferenze. In una grande sala si radunarono circa 150 persone – era piena zeppa. Tutti ascoltavano con grande interesse, si vede che anche questa volta toccai i loro cuori. Dopo la conferenza l’Arcivescovo mi invitò a cena. Mi sembrava tanto buffo – l’Arcivescovo, “l’arcivescovessa” e gli “arcivescovili” – no, è meglio che da noi i vescovi non abbiano intorno a loro questo “stato maggiore” (o quel seguito).

Per chiudere questo ciclo di conferenze ne tenni ancora un’altra, l’ultima, nel Grand Hotel a Stoccolma (ove mi offrivano sempre a questo scopo, gratis, una grande e bella sala “Spegelsalen”.

Il 20 maggio parlai del nostro poeta nazionale Krasinski. Inoltre tenevo nella mia abitazione a Dobelnsgatan ogni settimana delle lezioni di storia polacca per chi se ne interessava e per le signore polacche. Continuavo a presiedere le riunioni della Congregazione Mariana – le signore erano abbastanza numerose e gentili con me. Riuscii anche a costituire il Comitato, il quale (in sostanza) non lavorava molto effettivamente, ma aiutava soltanto con dei grandi nomi, che facevano effetto. Bisognava andare in giro, invitare, organizzare le riunioni – finché finalmente il primo giugno avevano redatto un appello alla nazione, chiedendo aiuto per la Polonia infelice e rovinata dalla guerra. I membri più importanti furono: Selma Lagerloff, dopo Heidenstan la più grande scrittrice svedese, Oskar Montelius direttore del grande museo nazionale, Alfred Jensen professore delle lingue slave, il quale tradusse in svedese “Pan Tadeusz”, “Iridion” e molte altre composizioni dei nostri poeti nazionali, anche un professore ebreo dell’università, molto simpatico, E. Benedictsen, il quale non fu per niente materialista come la maggioranza degli Svedesi. In piccolo tratto del carattere; invitai alcuni signori del Comitato da me per una breve seduta. Vennero abbastanza tardi, era già buio, ed io non avevo l’illuminazione elettrica; accesi la mia povera lampada e mi scusai per il fatto che sarebbe stato scomodo scrivere con luce così debole. Allora il prof. Benedictsen – con un tono di profonda convinzione rispose : « Cette lumière vous suffit elle, Madame, alors elle peut aussi nous sffire”.

In mezzo a tutti questi lavori avevo una preoccupazione. Le Suore di San Giuseppe mi avvertirono che da giugno avrebbero avuto bisogno delle nostre camere. Mi pare che lo decisero così improvvisamente, perché vennero a sapere che avevo il passaporto austriaco e non potevano capire assolutamente che ero Polacca – anche i Francesi cominciarono a guardarmi molto male. Sentendo questa loro ostilità avevo fretta di trasferirmi altrove, ma non sapevo dove recarmi. Alcune suore di Pietroburgo avrebbero dovuto venire già in Svezia per le vacanze – dove trovare un alloggio per loro? Padre Benelius mi consigliò di prendere in affitto una villa per noi e ricevervi anche i villeggianti, per poter vivere durante queste vacanze, prima di istituire la scuola delle lingue. Il buon Padre mi aiutò a cercare, seppe di una villa a Sodertalja e venne con me a visitarla. Era veramente bella, situata in un luogo molto piacevole, con un grande giardino ed il prezzo non elevato. Era anche ammobiliata e molto adatta per ospitare i villeggianti. Subito pagai l’acconto e così ci togliemmo la preoccupazione di rimanere senza tetto. Verso la fine di maggio arrivò Sr. Zaborska e Janka Dziekonska. Salutai le suore alle quali dovevo molto, pur se verso la fine si erano tanto spaventate del mio passaporto austriaco. Ci trasferimmo a Sodertalja. I primi giorni erano difficili. S. Zaborska cucinava e noi facevamo le pulizie. Dopo poco tempo vennero per le vacanze Sr. Monkiewicz e Sr. Maculewicz con le ragazze – mi pare 4, e poi per rimanere Sr. Anna, Sr. Zyta ed ancora alcune altre suore converse. Il lavoro era più facile, però per me iniziarono giorni difficilissimi. Eravamo già parecchie persone e i villeggianti non arrivavano. Il denaro andava via e non c’erano più le entrate di Pietroburgo, questa era la mia colpa. Come saremmo andate a finire? Ero disperata. Ci pensavo sempre, avevo condannato le suore alla miseria – cosa fare, come uscire da questa tragica situazione? Rimanevo a letto senza dormire – il cuore mi batteva – ero sempre più preoccupata. Sr. Zaborska la quale conosceva il mio stato d’animo cercava di tranquillizzarmi, di infondermi fiducia – soffrivo tanto per questo stato di cose – facevo male a lasciarmi prendere dalla sfiducia – perché il Signore in una maniera così evidente ad ogni passo vegliava su di noi.

Col permesso del vescovo in una delle stanze approntammo la cappella. Padre Benelius vi celebrò la S.Messa e nel modesto tabernacolo (tutto era imprestato) abitò il Signore. Agli inizi Padre Benelius veniva a celebrare la S.Messa tutte le settimane di mercoledì e domenica, alcune di noi partivano per Stoccolma per andare in chiesa. Dopo un po’ di tempo si trovò un sacerdote polacco il quale abitò da noi e da allora tutti i giorni potevamo avere la S.Messa e la Comunione. Non era questa una prova della vera provvidenza? Cominciarono ad arrivare i villeggianti, i quali in breve tempo diventarono tanto numerosi che la villa si riempì e noi dovevamo sistemarci nella vicina casetta destinata alle persone di servizio. Sr. Zaborska all'inizio era molto scontenta di questo nostro nuovo mestiere del personale dell'albergo, però in breve tempo - perché i nostri ospiti erano tanto simpatici e contenti - ci trovavamo molto bene con loro. Era veramente tanto bello abitare in questa villa sulla collina – guardando dalla terrazza avevamo sotto un mare di verde ‑ le cime degli alberi e sopra l'azzurro del cielo. Sr. Zaborska era estasiata; col suo solito buon umore mi soleva dire: "Adesso godiamo le vacanze ‑ è un luogo così bello ‑ e non pensiamo al futuro. Io mi tranquillizzai ‑ guardavo di nuovo con fiducia il futuro – e queste vacanze costituirono per noi effettivamente un vero riposo dopo l'anno così difficile e stancante. Pure avevo tanto lavoro, perché cominciai con le conferenze in lingua svedese, il che non era facile, perché proprio allora non avevo molte occasioni per parlare svedese, né il tempo per studiarlo, però il buon Dio mi diede una facilità per l'apprendimento delle lingue e tutto andava bene.

Il 12 luglio ebbi a Sodertalje la prima conferenza in svedese. Avevo un po’ di paura, perché parlavo a memoria senza gli appunti ‑ non lo faccio mai – però andava bene ‑ la sala era piena – gli ascoltatori commossi e contenti e l'odierno ambasciatore polacco a Mosca ‑ Signor Patek, seduto tra il pubblico piangeva come un castoro, ce lo confessò lui stesso ‑ pur se non capiva niente.

In quel tempo conobbi il Signor Daszynski, un noto socialista. Fece su di me l'impressione di essere un vero idealista, credeva in quello che professava. Il Signor Lempicki mi chiese se alcuni signori potevano venire da noi per una riunione di carattere politico. Si presentarono allora il Sig. Daszynski, Patek, Lempicki, un Finlandese rivoluzionista ed un rabbino sionista. Ognuno apparteneva ad un altro partito. La riunione si svolse abbastanza tranquillamente, poi, la cena. Accompagnammo i nostri connazionali alla stazione – e mi ricordo sempre il Sig. Daszynski, il quale mi diceva dal finestrino del treno: “Lei, Madre, come Daniele nella fossa, fece diventare miti i leoni”. Da allora non lo rividi più – una volta, lui, Lempicki e Pilsudski, dalla Polonia mi inviarono una carta… Mi fa pena Daszynski, avrei voluto avvicinarlo a Dio.

Dopo la prima conferenza in svedese, la quale ebbe una buona riuscita, ne diedi tutto un ciclo, prima nei luoghi di cura situati più vicino: Vaxholm, Saltsjobaden, Nynas - poi mi congedai dalle mie figliole per una quindicina di giorni e mi recai per le conferenze a Westkusten ai bagni.

Andavo da sola con le mie piccole valigette da Goteborg a Stromstad. Lì, tra le uditrici ebbi Selma Lagerfoff e Sofia Elkan, la sua amica, anche scrittrice. Dopo la conferenza mi avvicinarono ed invitarono a pranzo per il giorno seguente. Accettai volentieri quest'invito essendo completamente sola nei luoghi sconosciuti tra gli stranieri ‑ ero intenta di essere accolta, pur se per roco tempo, da queste signore. Selma Lagerfoff parla poco, però con la Sig. Elkan la conversazione in svedese prosegui piacevolmente.

Da Stromstad andai a Marstand. Un'isola quasi tutte rocce senza vegetazione. Qui vengono quelli che hanno il cosiddetto Housschnupfen. Molto bello - rocce e mare, solo ogni tanto si vede qualche albero.

Poi andai a Lisekil, a Saro ‑ ed ancora in qualche altro luogo di cura, non mi ricordo più dove. Dappertutto avevo molti ascoltatori. I soldi entravano a volte di più, a volte di meno. Man mano che li ricevevo li inviavo a Stoccolma a Handelsbank, ove il Comitato aveva il suo conto corrente. In quelle località trovai un'enorme ricchezza e comodità ‑ mangiano e mangiano, non direi di avervi trovato molto cuore; il cuore bisogna cercare presso i poveri e gli umili.

Questi viaggi erano duri; mi trovavo sola tra gli estranei, con la continua preoccupazione di risparmiare, di poter consegnare una somma maggiore che potevo al Comitato, sempre con il timore riguardo la buona riuscita dell'impresa, se convenisse sostenere le spese del viaggio. Veramente oggi non comprendo, come avveniva che riuscissi ad avere ascoltatori – completamente sconosciuta, senza nessuna persona che mi organizzasse le conferenze. Dovevo sempre recarmi dai signori che stavano a capo dei luoghi di cura chiedere il locale il quale sempre mi offrivano gratis ‑ il Signore mi aiutava ed il lavoro andava. A volte incontravo delle commoventi manifestazioni di cuore e di simpatia: a Stromstad, ad esempio, dopo la conferenza l'uomo incaricato del servizio presso il guardaroba mi portò alcune corone: “Quello che ho guadagnato oggi ‑ do per i poveri Polacchi”. Un'altra volta dovevo cambiare il treno, prendendo un altro abbastanza distante dal primo. Nella mia terza classe c'era una vecchietta, la quale mi guardava con molta attenzione. Finalmente mi chiese: "E’ lei la Contessa polacca?" (così mi chiamavano spesso i giornali) “Sì”. Allora permetta, Signora, che le porti le valigette al treno. Afferrò le mie due valigette e le portò svelta, svelta, senza farmi toccare niente.

Verso l'otto agosto ero di ritorno a Sodertalje. Vi trovai grande confusione. Si preparavano i quadri vivi della storia della Polonia. La rappresentazione fu fissata per il 12 agosto. Prendevano parte in essa moltissimi bambini che avevamo invitato, recitavamo le poesie, i canti e le entrate erano destinate s’intende per il Comitato.

Il 12 un grande movimento ‑ la preparazione della scena con l’aquila bianca, fiore e verde. Parlai brevemente in svedese, chiedendo aiuto per la miseria polacca ‑ conseguenza della guerra. Poi suonò una pianista, dopo la quale si esibì una cantante; seguirono i quadri vivi ed alla fine l'apoteosi della Polonia ed il nostro inno nazionale. Il tutto riuscii molto bene e pia­cque alla gente, cominciò a risvegliarsi la simpatia per la Polonia. Due o tre giorni dopo ci fu da noi una grande merenda per i giovani attori ed attrici ‑ anche questa causa di una generale contentezza.

Intanto la situazione in Polonia diventava sempre più grave, la miseria e la fame crescevano. Scrissi un appello alle madri svedesi “Tilde swendska modrarna" ‑ chiedendo l'aiuto per le madri polacche. Inviai quest'appello a tutti i giornali svedesi - circa 270. Cosa strana ‑ le classi più elevate non reagirono a quest'appello. Invece da parte dei poveri con delle piccole offerte venivano talvolta delle lettere molto commoventi.

E così un povero maestro di campagna scriveva che aveva circa 20 bambini poveri nella sua scuola ‑ lesse a loro l’appello chiedendo affinché ogni bambino portasse 5 or. Raccolsero circa 5 corone, egli aggiunse il resto ed inviò 6 corone.

Un povero operaio sessantenne scriveva: "Ricevo 9 corone alla settimana, due destino per i poveri polacchi".

Una povera donna di servizio mi chiese dì inviarle la lista delle sottoscrizioni: “Giuro, che consegnerò ogni ora; andrò da una porta all'altra e raccoglierò una sommetta". E veramente con sudore della fronte raccolse 170 corone mettendo insieme le piccole offerte. Che lavoro! Ella stessa povera comprese gli altri poveri ‑ invece i ricchi rimasero insensibili - così solitamente succede.

Questi lavori però non mi liberarono della struggente preoccupazione, riguardante il nostro futuro – “Che cosa sarà di noi?". Pur se mi tranquillizzai molto ‑ perché all' inizio toccavo quasi la disperazione. Feci pubblicare nei giornali più importanti la notizia che il 15 settembre avremmo aperto la suola delle lingue, però non si sapeva dove ancora. Mi consigliavano Staltjobaden, ma ci sembrava un po' troppo lontano da Stoccolma. Mi recai una volta dal rabbino del luogo ‑ quello stesso che prese una volta parte alla riunione tenuta da noi - mi sconsigliò Staltjobaden dicendo che sarebbe andato meglio Djursholm. Era un Ebreo intelligente e pieno di benevolenza verso di noi, perciò seguii il suo parere ed andai con Sr. Zaborska sul posto per cercare una villa. Erano tutte molto care e noi avevamo in tutto soltanto 10.000 corone. Bisognava an­dare molto caute col denaro. Cercavamo, andavamo da una villa all'altra – niente. Cominciavamo già a scoraggiarci, quando trovammo una per un prezzo abbastanza conveniente ‑ Villa Berchmans, e poi subito mi offrirono un'altra, la quale mi piaceva molto ‑ però volevano un forte acconto – pur se nell'insieme l’affitto non sarebbe costato molto. Tutte e due le ville ci sarebbero costate grosso modo 4.000 corone all'anno.

Così ci togliemmo una preoccupazione. Adesso un'altra – ci sarebbero state le allieve? Fin adesso si erano presentate due sorelle, figlie del Hofjagemester di Danimarca, e nessuno più. Pensavo che mi sarebbe convenuto prendere forse una o due alunne gratuitamente, quando si presentarono ancora tre nuove; 5 in tutto, già era qualche cosa; si poteva iniziare.

Verso la fine di agosto partirono le Suore che tornavano al ginnasio di Pietroburgo, cioè, Sr. Maculewicz, Sr. Monkiewicz e le allieve. Rimasero in Svezia Sr. Zaborska, Sr. Wielowiejska, Sr. Brennan, che ritornò da noi durante le vacanze e Giovanna Dziekonska, e poi naturalmente le nostre suore converse tanto buone, Sr. Zyta, Sr. Anna, Sr. Paschalisa, Sr. Stanislaa, ecc. Il tempo diventò brutto ed i nostri villeggianti, uno dopo l’altro tornarono in città. Verso il 10 settembre anche noi lasciammo Jacobsberg Sodertalje e ci trasferimmo a Djursholm, Swasvagen.


SCRITTI